Chiesa di San Nicolò (Patrono di Mira)
UN PO' DI STORIA DI MIRA...
Verso la fine dell'Xl secolo da Myra, città della Licia, regione dell'attuale Turchia, fu trasportato a Bari il corpo del vescovo San Nicolò, venerato come difensore dagli incendi, protettore dei marinai, dei commercianti e delle giovani nubili povere.
Parte del merito di tale impresa sembra sia spettata ad un Corbelli da Cazzozana o Cazoxana, priore della basilica di Bari al tempo della traslazione della preziosa salma. Il villaggio di Cazzozana, il cui nome deriverebbe da callis (=strada) saltiana (saltus = bosco), cioè strada tra boschi e pascoli, al confine tra la signoria di Padova e quella di Treviso, mentre secondo altri potrebbe alludere ad un territorio di discesa dell'acqua verso la laguna -, era composto da qualche decina di famiglie di contadini e barcaioli e sorgeva lungo le rive di un corso d'acqua, il quale per le continue modifiche, naturali o apportate dall'uomo, aveva allora ed avrà in seguito un ruolo importante nel sistema idrografico della regione, specialmente quando, nel secolo XIV, accoglierà le acque e il nome del Brenta. I barcaioli di Cazzozana, legati con i loro traffici e affari ai mercanti e ai marinai della vicina Venezia, edificarono vicino al luogo d'ormeggio per le loro imbarcazioni, una piccola chiesa in onore di San Nicolò. Il santo era venerato come protettore dei marinai perché aveva salvato un'imbarcazione dalla furia del mare in tempesta e proprio perché San Nicolò proveniva dalla Myra, quel primo edificio sacro lo si chiamò, a partire dalla seconda metà del XII secolo, San Nicolò di Cazzozana o della Mira.
Di quella primitiva costruzione, probabilmente nella zona di Mira Vecchia, tra via Molinella e Ca' Abrizzi, non rimane nulla: le scarne testimonianze documentali ricordano che nell'anno 1152 essa dipendeva, con la chiesa di Oriago, dalla pieve di San Teonisto di Borbiago ed era sotto il vescovado di Treviso, per passare poi alle dipendenze del monastero di Sant'Ilario, come attesta la bolla di papa Alessandro III del 5 ottobre 1177, con la quale, il Pontefice assegnava a Uberto, abate di Sant'Ilario, "ecclesiam S. Nicolai de Caxozana cum omnibus possessionibus suis".
I monaci, che avevano costruito a fianco della chiesa stessa un ospizio, ricevettero, nel 1192, una generosa donazione dalla nobildonna Speronella Dalesmanini, figlia di Dalesmano da Padova.
Mentre dell'ospizio viene ricordata la sua funzionalità fino al XV secolo, la chiesa, verso la metà del XIII secolo, cadde presto in rovina, come successe a gran parte dei beni del monastero di Sant'Ilario, per le distruzioni provocate dal continuo stato di guerra esistente tra la signoria di Padova, in potere allora, di Ezzelino III Da Romano e la repubblica di Venezia, guerra i cui scontri avvenivano spesso nel nostro territorio, o, come sembra più probabile, per una rovinosa piena del Brenta, fiume che nei secoli XIII e XIV causò danni gravi non solo nella zona di Mira ma anche nelle terre di Gambarare e Oriago.
La devozione verso San Nicolò non venne però mai meno e un documento del 1307 ricorda i capitoli della fratellanza della Beata Vergine e di San Nicolò di Cazzozana, assemblee che gli uomini di Roncoduro tenevano per accendere una lampada votiva a San Nicolò, per assistere gli infermi e "pro balneandis defunctis", cioè per lavare i morti, per accendere un cero in occasione della sepoltura, per un'offerta pecuniaria e per "Cantare tre messe" nei trenta giorni successivi alla morte in suffragio dell'anima del defunto, ma ricorda anche l'esistenza di una chiesa "pievana" in cui si amministrava il sacramento del battesimo.
Nel 1364 Francesco da Carrara, signore di Padova, permutò ottanta campi, situati "in contrada ecclesiae Caxozanae", con l'abate di S. Gregorio e nell'atto notarile si legge: "circa la Mira, sopra gli argini della Brenta, c'era una chiesa di San Nicolò" e, più avanti, "... da Oriago fino alla Mira, di qua e di là si carreggiava in sette luoghi per l'affluenza della gente, quasi pellegrinaggio, alla perita chiesa del Taumaturgo" Anche dopo la distruzione, dunque, rimase a lungo nella memoria l'esistenza di quell'edificio sacro sull'argine del Brenta, vicino ad un grande albero, come del fatto che ancora nel 1460 il parroco di Scaltenigo vi si recasse saltuariamente per celebrare la Messa.
ln una così triste situazione, Benedetto Corbelli, discendente da una ricca famiglia padovana proprietaria di molti terreni nella zona, parente, pare, di quel Corbelli priore della basilica al tempo dell'arrivo della salma del Santo a Bari, fece erigere in un suo podere una cappella in onore di Maria Vergine e dell'apostolo Sant'Andrea, aprendola anche alle pratiche religiose della popolazione del villaggio, da lungo tempo priva di un edificio per il culto, riconoscendola soggetta alla chiesa di Borbiago e quindi al vescovo di Treviso.
Qualche anno più tardi, lo stesso Benedetto Corbelli chiese ed ottenne l'autorizzazione di fabbricare "in loco condecente" un edificio più spazioso, in sostituzione di quella che "per cagione delle guerre e di altra calamità era stata diroccata e le cui macerie si rinvenivano in un terreno di sua proprietà seminato a segala".
Papa Innocenzo VIII, nel 1487, acconsentì aita fondazione e alla benedizione del nuovo edificio in località Roncoduro, - tra Mira Taglio e Mira Porte-, stabilendone i confini e la superficie su cui avrebbe esercitato la sua giurisdizione, circa 500 campi; vicino alla chiesa c'era anche il cimitero. Nel maggio 1488, come ricorda la lapide posta a sinistra della facciata della chiesa, nel fondo messo a disposizione dai Corbelli, fu benedetta la prima pietra della chiesa di San Nicolò della Mira e Cazzoxana.
Il muratore fu Elia da Como, mentre Allegretto da Padova provvide alle strutture lignee e la chiesa risulta già costruita nel 1491. Essa aveva il titolo "parochiale", era sottoposta a Borbiago e i nobili Corbelli vi esercitavano il giuspatronato. Il primo parroco fu Antonio Rossetto, al quale fu destinata, come abitazione, la vicina casa canonica "circondata da un muro, con camera interna rinnovata e un tetto di paglia".
La chiesa "era provveduta - come si legge nelle Memorie di C. Agnoletti - d'un calice d'argento, croce dorata, un messale, due paramenti, sei candelabri di bronzo, due doppieri, una campana sul campanile, un quadro della Madonna con altri santi, turibolo, strumento per la pace, navicella, secchiello, due corporali e due borse di samisdoro".
La nomina del parroco e i benefici a lui concessi diedero, però, l'avvio a una lunga contesa prima con i carmelitani di Borbiago, esigendo il parroco i quartesi prescritti, diritto rivendicato anche dai frati, e poi anche con gli abitanti del villaggio contro privilegi di esenzione da tali obblighi concessi in anni lontani dall'imperatore Lotario (1136), confermati poi anche dall'imperatore Federico Il nel 1222.
Nel 1608 sorse una nuova disputa perché quanti erano subentrati nel possesso di parte dei fondi Corbelli non pagavano il quartese pattuito e, con alterne vicende, la situazione si protrasse fino al 1778 quando anche tutti i coloni si riunirono in una causa comune per non corrispondere più il quartese ma solo le elemosine.
Nel 1520 fu aggiunto alla chiesa anche il fonte battesimale e al parroco fu riconosciuto, più tardi, nel 1564, il titolo di arciprete. Nell'anno 1642 il Vescovo di Treviso stabilì di celebrare la festa della Dedicazione della chiesa il 13 dicembre, festa di Santa Lucia, con la condizione che fosse celebrata anche una messa "de sancta", ma, non essendo tale decisione consona alla regole liturgiche, dopo più di un secolo il vescovo Paolo Giustiniani ordinò lo spostamento della celebrazione alla domenica successiva al 13 dicembre. A quanto scrive il prof. Tiozzo, l'ultima grande festa fu celebrata nel 1899, nell'ottavo centenario della traslazione dei suoi resti al Lido di Venezia.
L'edificio originario della chiesa ha subito, in vari momenti, molteplici interventi, specialmente di ampliamento, per l'aumento dei fedeli, visto l'incremento della popolazione locale dovuto anche alla facilità di comunicazioni con Venezia e con Padova. La prima struttura del '400, di Elia da Como, facciata romanica e protiro con un piccolo campanile incorporato nell'abside era certamente diversa da come la vediamo nella incisione del 1700 del Costa.
Nel 1668 furono aggiunte le due navate laterali e l'abside attuale sul cui sfondo venne collocata, poi, la pala di San Nicolò; al 1888, poi, si fa risalire l'attuale facciata dalle trame architettoniche neorinascimentali, ma adattamenti, modifiche e cambiamenti furono apportati di continuo, specialmente all'interno dell'edificio, per renderlo più consono ed accogliente. Numerose confraternite o scuole sorsero nell'ambito della chiesa mirese, dalla prima scuola di San Nicolò a quella di Santa Lucia e San Rocco a quella dei Battuti e tutte, molto probabilmente avevano un proprio altare. Nel 1784 i massari, cioè i capi delle confraternite, erano quattro, denominati del Santissimo, della Madonna e dei Santi Carlo e Giovanni.
Dall'analisi dei resoconti delle visite pastorali si coglie una costante preoccupazione per la cura spirituale dei fedeli, per la catechesi e la predicazione ma pure che, specialmente nel sec. XVIII, l'interesse per le pratiche religiose era talmente desueto che, come si legge in una relazione del parroco don Urbani nel 1778, i parrocchiani "vivono in una parola tanto simili alle bestie che non saprei da quelle come distinguerli salvo nella forma umana e nel Battesimo e Cresima ch'in loro impressero il nobil carattere di seguaci dell'Evangelio".
La parrocchia di Mira, poi, dopo le vicende storiche che hanno portato all'unità d'Italia, pur appartenendo alla diocesi di Treviso, risentiva inevitabilmente, per la sua collocazione geografica dell'influenza che Venezia esercitava nel suo immediato entroterra e così, nel 1927, per conformarsi alla sistemazione dell'amministrazione civile, furono staccate dalla diocesi di Treviso e annesse alla diocesi di Venezia le parrocchie di Mestre, Carpenedo, Campalto, Favaro Veneto, Dese, Chirignago, Zelarino, Trevignano, Mira, Borbiago e Oriago e da allora San Nicolò di Mira entrò a far parte del patriarcato di Venezia.